Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
0. Introduzione L'individuazione dei termini e la precisazione dei tempi del processo
che nel corso del XIII secolo portò all'affermarsi dell'istituto
del podestà professionale e al prevalere del Popolo nell'Italia
dei comuni resta al centro di un dibattito storiografico sempre aperto.
In particolare, riguardo alla consistenza e alla composizione delle
forze in campo, alle modalità di aggregazione – dal prevalere
degli interessi di matrice consortile, ai modi del proliferare e all'intersecarsi
delle forze espresse nelle varie societates –, alle forme con
le quali si tradusse in potenza politica la rilevanza economica e il
prestigio e le capacità militari.Per quanto si possa tentare
di tracciare qui le tappe essenziali di un tale processo, resta scontato
che qualsiasi generalizzazione si voglia proporre risulterà
riduttiva della varietà e della specificità di ogni vicenda
cittadina. Tenendo conto tra l'altro, della complessità di implicazioni
conseguenti dal processo di sottomissione del contado da parte del comune.
Dopo una fase, più o meno lunga e tormentata, che vide l'alternarsi
di consoli e podestà di estrazione locale nella maggior parte
del comuni italiani si fece ricorso all'istituto del podestà
forestiero, quasi sempre in concomitanza con l'affermarsi delle diverse
organizzazioni associative in cui il Popolo trovava espressione.
Con il podestà forestiero si apre la strada ad una prima
professionalizzazione della politica: con il perfezionarsi dell'istituto
e il precisarsi delle sue funzioni, il podestà si configura,
sempre più come un tecnico della politica e del diritto, un esecutore
delle indicazioni dei consigli del comune la cui azione è sottoposta
ad un severo sindacato e che è affiancato nei suoi compiti da
una schiera di specialisti e funzionari i quali formano un gruppo che
si sposta a prestare il suo operato da una città all'altra.
Si può affermare che nella maggior parte del comuni la nomina del
podestà forestiero significò un allargamento della base
del governo della città e una frattura della continuità
nella gestione del comune che fino ad allora, a partire dal consolato,
l'aveva caratterizzato. Anche perché, contestualmente a questa
razionalizzazione di cariche e funzioni, all'interno del comune andarono
crescendo e si affermarono altre forme di aggregazione: da quelle basate
sulla ripartizione territoriale (vicinie, quartieri, societates populi
), a quelle reclutate su base professionale (arti), a quelle con
funzione di difesa (le società delle armi) (1).
Le une o le altre, di volta in volta, a secondo dei differenti contesti
cittadini, fornirono, magari come esito di un loro interagire reciproco,
la base essenziale per l'espressione di una rappresentanza del Popolo.
Il regime podestarile vide così crescere la pressione del Popolo,
costituitosi a difesa dei propri interessi in organismo politico in opposizione
all'aristocrazia dei milites. Un condizionamento, quello esercitato
dal Popolo destinato presto a estendersi fino al punto di riuscire con
successo a contendere al comune i principali centri di potere e infine
ad affermarsi come partito dominante. La vittoria del primo Popolo, spesso
legata all'emergenza di alcuni particolari personaggi, si consolidò
comportando in più casi una dinamica di frammentazione all'interno
delle arti, con l'arroccamento nelle posizioni di potere di quelle di
maggior peso: comunque fu segnata in misura caratterizzante dall'esigenza
di opporsi alla pressione del nobili e del magnati. L'affermarsi del Popolo
non fu né ovunque omogenea, né senza contraddizioni. La
perdurante funzione militare dell'aristocrazia le assicurò infatti
tin posto importante all'interno delle città per tutto il Duecento;
anche in questo campo però ad essa si affiancarono ben presto i
cittadini di tradizione non aristocratica, i quali servirono a cavallo
negli eserciti comunali accanto ai milites (2).
Per illustrare alcuni aspetti di questo processo, si è preferito
seguire come caso emblematico quello di Firenze, così noto e in
vari modi raccontato dai suoi cronisti (3,
4, 5).
Certo, un esempio, con tutti i limiti che di per sé esso comporta
di fronte a una realtà del fatti, e delle fonti, che come si è
detto è profondamente diversificata a seconda dei contesti.
Un discorso a parte merita il processo che interessò l'organizzazione
della vita politica della città di Venezia. Sul piano politico,
le forze cittadine protagoniste dello sviluppo delle attività
mercantili e imprenditoriali – che nel corso del XIII secolo subì
una sensibile accelerazione –, trovarono un produttivo equilibrio con
la precisazione del limiti delle prerogative dell'istituto del dogato
e in un complesso interagire di organismi collegiali. Un equilibrio
che venne poi sostanzialmente preservato attraverso un congelamento
dell'accesso al potere.
Mentre, sotto questo profilo, la vicenda politica di Genova – per
quanto essa riuscisse a affermarsi sul piano militare e della espansione
economica contro Pisa e Venezia – fu segnata dai contraccolpi delle
lotte interne tra fazioni e dalle ambizioni espansionistiche di Milano
e della Francia (6).
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