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Didattica > Fonti > Le campagne nell’età comunale > IV- Introduzione (4/4)

Fonti

Le campagne nell’età comunale
(metà sec. XI – metà sec. XIV)

a cura di Paolo Cammarosano

© 1974-2005 – Paolo Cammarosano


Sezione IV – Proprietari e contadini nei secoli XIII e XIV

Introduzione (4/4)

Si deve dire tuttavia che, nel complesso delle norme di carattere economico contemplate dagli Statuti cittadini, quelle che riguardano il commercio della terra e dei prodotti agricoli non sono mai così numerose, dettagliate e coerenti come le altre che regolano l’attività degli artigiani, dei commercianti al minuto, degli edili e di altre categorie di modesti lavoratori. Nel complesso, i legislatori cittadini dedicarono alle attività agricole e all’insieme dei rapporti di produzione e di scambio nelle campagne uno spazio nettamente sproporzionato rispetto all’enorme peso che aveva l’agricoltura nelle strutture economiche del tempo. Sembra inoltre che le norme statutarie sull’agricoltura, in conformità con una tendenza generale del tipo di controllo dell’attività economica instaurato dalle autorità cittadine, concernessero soprattutto il momento dello scambio e del consumo e intervenissero molto meno nel campo della produzione e dei rapporti di produzione. Se in quasi tutti gli Statuti cittadini si possono leggere rubriche che impongono a proprietari e a comunità rurali, in funzione dell’ubicazione dei campi o dell’entità delle singole aziende, la piantagione di determinate colture arboree, oppure vietano pratiche agrarie dannose (cfr. docc. nn. 4 e 17), si tratta comunque sempre di disposizioni isolate nel complesso della legislazione comunale.

Per la verità un giudizio complessivo sull’intervento cittadino nel campo della produzione e delle pratiche agrarie non può essere ancora formulato con sicurezza, per mancanza di studi e soprattutto per una grave lacuna nel lavoro di edizione delle fonti; infatti soltanto gli Statuti, cioè i testi legislativi di carattere generale, sono stati pubblicati in numero abbastanza consistente, mentre sono assai scarse le edizioni e gli spogli di quei documenti, numerosissimi negli archivi italiani, che interessano la pratica amministrativa e l’attività economica correnti dei governi comunali: deliberazioni dei consigli cittadini, ordinanze e ingiunzioni, registri finanziari e di amministrazione, stipulazioni tra i rappresentanti comunali e privati cittadini o comunità rurali. Ora, è proprio attraverso documenti di questo tipo che si possono seguire le attività di promozione dell’agricoltura e le forme di organizzazione economica perseguite dai governi comunali. Ciò vale in particolar modo per la partecipazione cittadina ai lavori di sistemazione agricola, di irrigazione e di bonifica, che fu molto importante in alcune zone della pianura padana ma è attestata per diverse altre zone d’Italia. Ma nel complesso, per quel poco che ancora sappiamo sulla gestione finanziaria e sulla spesa pubblica dei Comuni italiani nei secoli XIII e XIV, non risulta che essi abbiano dedicato al potenziamento della produzione agricola risorse ingenti come quelle che erano assorbite dalle opere pubbliche urbane, dagli approvvigionamenti straordinari in tempo di carestia e soprattutto dalle attività di guerra. Sembra che le opere di sistemazione e di miglioramento dei terreni fossero demandate per l’essenziale all’iniziativa dei singoli proprietari residenti in città o di quelli organizzati nei Comuni del contado.

Era del resto un orientamento di fondo delle legislazioni cittadine dei secoli XIII e XIV, nello stesso tempo in cui cercavano di eliminare o di contenere ogni forma di autorità pubblica e di potestà sulle persone esercitata dai proprietari fondiari, quello di esaltare il diritto di questi ultimi alla piena e assoluta disponibilità economica dei propri fondi, libera da obblighi e vincoli nei confronti di chiunque, garantita contro ogni tentativo di boicottaggio da parte di proprietari rivali, di signori, di Comuni rustici o di lavoratori. In quasi tutte le legislazioni comunali dell’Italia centro-settentrionale ricorrono disposizioni intese ad impedire rigorosamente che i proprietari, in seguito a pressioni, manovre e intimidazioni esercitate da comunità o da signori locali, non trovino coltivatori per i propri fondi (doc. n. 4). In molti Statuti è sancito il diritto dei proprietari, che avessero ceduto terre a mezzadria o in altre forme di parziaria, a esercitate una sorveglianza e un controllo sui principali lavori agricoli e al momento della raccolta (doc. n. 10). Ai contratti parziari era dedicata una speciale attenzione, adeguata all’importanza che venivano assumendo e all’interesse dei proprietari per questa forma di sfruttamento; nel corso del Trecento i legislatori bolognesi, “desiderando… contrastare la malizia degli agricoltori, che rifiutano di essere coloni parziari e desiderano passare a contratti di affitto – cosa che potrebbe tornare a non piccolo danno dei proprietari fondiari”, sarebbero giunti a imporre le locazioni parziarie, come uniche forme valide di concessione di terre ai lavoratori.

La disciplina dei contratti di parziaria costituì un’importante eccezione alla tendenza, riconoscibile in tutta la legislazione statutaria comunale, per cui si demandavano i rapporti contrattuali alla libera stipulazione tra le parti e ai principi del diritto comune, cioè del diritto romano. A sua volta questa tendenza andava nel senso di favorire i proprietari e di affermare, come era stato appunto nelle concezioni giuridiche di Roma antica, il loro diritto pieno e assoluto, la loro facoltà di usare ed abusare dei propri beni e, in particolare, dei possedimenti fondiari. Le uniche limitazioni alla proprietà potevano essere dettate dal desiderio di ovviare a un eccessivo frazionamento dei fondi: così fin dagli inizi del secolo XIII si incoraggiarono, o si imposero tassativamente, gli scambi e le vendite di terra che potessero condurre a un arrotondamento dei possessi, tramite le rettifiche dei confini e l’eliminazione delle parcelle isolate e di minima entità e il loro assorbimento nei fondi confinanti di maggiore ampiezza (doc. n. 15) e si stabili che un proprietario, i cui campi chiudessero l’accesso a strade, a campi di altre persone o a corsi d’acqua di comune utilità, dovesse consentire il transito o la derivazione dell’acqua attraverso la sua proprietà.

Di fatto queste norme e questi principi favorivano la formazione di aziende agrarie compatte e di medie dimensioni a scapito dei piccoli coltivatori diretti e di quanto restava delle grandi proprietà aristocratiche ed ecclesiastiche, ampie ma talora assai frazionate, della prima età comunale. In questo senso vanno intese anche le cautele, e il generale sfavore, che si andarono determinando nelle legislazioni comunali nei confronti dei rapporti di enfiteusi, che rappresentavano la forma normale di concessione dei beni ecclesiastici. Oltre ad offrire ampie possibilità di frode fiscale (il fatto che le chiese non fossero soggette alle normali imposte sul patrimonio induceva più di un proprietario laico a cedere ad esse i propri beni, che gli venivano poi riconsegnati in forma di concessione enfiteutica), tali rapporti comportavano una scissione tra proprietà nominale della terra e possesso effettivo che era fonte di infinite complicazioni e contrastava con le nuove concezioni sul pieno, assoluto e indiviso diritto di proprietà. Nelle rubriche degli Statuti di Perugia del 1342 (cfr. doc. n. 21) sono attestate sia le cautele della legislazione comunale in materia di enfiteusi che la tendenza a eliminare, tramite permute o vendite, tali Situazioni di divisione del dominio.

Nota bibliografica su proprietari e contadini nei secoli XIII e XIV

Sulle questioni che abbiamo delineate in questa Sezione esiste una grande quantità di studi monografici, per cui le indicazioni che seguono costituiscono appena un primissimo orientamento. Agli studi di storia locale e territoriale che abbiamo citato altrove si aggiunga E. Fiumi, Storia economica e sociale di San Gimignano, Firenze, Olschki, 1961. Numerose sono le analisi sulla Vita economica di singole chiese e monasteri nei secoli XIII e XIV: citiamo a titolo di esempio G. CHITTOLINI, I beni terrieri del Capitolo della Cattedrale di Cremona fra il XIII e il XIV secolo, in “Nuova rivista storica”, XLIX (1965), pp. 213-274; sulle decime ecclesiastiche è fondamentale C. E. Boyd, Tithes and Parishes in Medieval Italy. The Historical Roots of a Modern Problem, Ithaca, N. Y., Cornell University Press, 1952. Sugli investimenti di ceti urbani nelle campagne è molto stimolante CH. M. DE LA RONCIÈRE, Un changeur florentin du Trecento: Lippo di Fede del Sega (1285 env. – 1363 env.), Paris, 1973, pp. 97-177. Sull’instaurazione di nuovi rapporti di produzione nelle campagne si può leggere ancora con profitto M. KOVALEWSKY, L’avènement du régime économique moderne au sein des campagnes, in “Revue internationale de sociologie”, IV (1896), pp. 337-364, 418-439; si Veda inoltre P. J. JONES, From Manor to Mezzadria: A Tuscan Case-Study in the Medieval Origins of Modern Agrarian Society, in Florentine Studies. Politics and Society in Renaissance Florence, ed. by N. RUBINSTEIN, London, Faber and Faber, 1968, pp. 193-241. Sui contratti agrari si Veda la sintesi bellissima di G. GIORGETTI, Contadini e proprietari nell’Italia moderna. Rapporti di produzione e contratti agrari dal secolo XVI a oggi, Torino, Einaudi, 1974, in particolare il Cap. III, pp. 138-199. Le osservazioni di G. B. PASCUCCI, Contratti agrari nel diritto statutario bolognese del secolo XIII, Bologna, Tip. Parma, 1960, hanno Valore anche per altri territori oltre al bolognese; sulla mezzadria cfr. M. LUZZATTO, Contributo alla storia della mezzadria nel Medio Evo, in “Nuova rivista storica” , XXXII (1948), pp. 69-84, e le considerazioni del PLESNER, op. cit., pp. 210-213 (a p. 211 il brano che abbiamo citato nell’Introduzione). Sulla sòccida: L. OLLIVERO, La soccida, Milano, Giuffrè, 1938 (la parte più propriamente storica comprende le pp. 19-77). Sui prestiti su pegno fondiario in età comunale: A. SAPORI, I mutui dei mercanti fiorentini del Trecento e l’incremento della proprietà fondiaria, in Studi di storia economica (secoli XIII-XIV-XV), I, 3ª ed., Firenze, Sansoni, 1955, pp. 191-221 (il saggio risale al 1928). Tra le diverse manifestazioni della “politica economica” dei Comuni cittadini, quella di cui si è trattato più frequentemente è stata la politica annonaria: si Veda per tutti H. C. PEYER, Zur Getreidepolitik oberitalienischer Stadte im 13. Jahrhundert, Wien, Universum, 1950. Più in generale, sul problema dei rapporti tra città e contado, si considerino le classiche e schematiche posizioni di R. CAGGESE, Classi e Comuni rurali nel Medio Evo Italiano. Saggio di storia economica e giuridica, II, Firenze, Gozzini, 1908, e di G. SALVEMINI, Un comune rurale cit., le fondamentali puntualizzazioni del PLESNER, op. cit., la discussione di E. FIUMI, Sui rapporti economici tra città e contado nell’età comunale, in “Archivio storico italiano”, CXIV (1956), pp. 18-68; da quest’ultimo saggio si può partire per un ampliamento bibliografico. Come al solito alcune indicazioni bibliografiche di carattere particolare Verranno fornite nelle presentazioni dei singoli documenti. La disposizione statutaria bolognese del 1376 sulla parziaria, che abbiamo riportata nell’Introduzione, si legge in G. ARIAS, Il sistema della costituzione economica e sociale italiana nell’età dei comuni, ristampa anastatica dell’edizione del 1905, Roma, Multigrafica Editrice, 1970, p. 449.

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UpUltimo aggiornamento: 17/01/05