Fonti
Antologia delle fonti altomedievali
a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto
© 2000 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
0. Introduzione Nell’887 con la deposizione di Carlo il Grosso provocata dalla rivolta
delle aristocrazie regionali di Germania apparve evidente la natura
provvisoria e fittizia della ricostituita unità dell’impero carolingio,
che allora si divise definitivamente nelle entità politiche,
già precedentemente delineate, di Francia, Germania, Borgogna,
Provenza ed Italia. In Germania, dove fino al 911 sopravvisse una dinastia
carolingia, la fine del IX secolo assisté allo sviluppo delle
grandi articolazioni territoriali costituite dai ducati di Sassonia,
Franconia, Alamannia (o Svevia), Baviera: formazioni politiche a base
etnica, nate per iniziativa di alcuni gruppi aristocratici le cui rispettive
sfere di influenza si erano venute a delimitare su un sostrato etnico
tradizionale. Con il primo successore dei Carolingi, Corrado di Franconia
(911-918), i ducati rappresentarono una forza centrifuga che il re non
fu in grado di contrastare. Dopo il debole regno di Corrado la tendenza
al frazionamento territoriale messa in atto dai ducati fu però
contenuta dai re della casa di Sassonia, che a partire da Enrico I (918-936)
progressivamente trasformarono i duchi da capi autonomi in rappresentanti
del re su un territorio (2,
3). Per controbilanciare
ulteriormente la difficoltà di esercitare un effettivo controllo
sulla aristocrazia i sovrani sassoni, specialmente a partire da Ottone
I (936-973), presero a valersi delle strutture ecclesiastiche come organi
di governo, tramite la concessione di una serie di privilegi che giunsero
fino all’assegnazione di poteri comitali ai vescovi (4).
A questa politica di consolidamento interno si accompagnò, sin
dal regno di Enrico I, un rafforzamento delle frontiere ed una tendenza
all’espansione: ad occidente con l’acquisizione della Lotaringia (dal
925) e con i negoziati (1006-1018) per l’acquisizione della Borgogna
(2, 11);
a nord con l’estensione dell’influenza tedesca nello Jutland e l’evangelizzazione
della Danimarca [cfr. capitolo 13, 11 (A)]; ad est con l’organizzazione
di campagne contro gli Slavi al di là dell’Elba e della Saale
e con la messa a punto di complesse azioni di accordo o di contenimento
nei confronti dei nascenti organismi statali di Boemia, Polonia, Ungheria
(2, 3)
infine a sud con l’acquisizione del regno d’Italia (951). Quest’ultima
impresa, seguita pochi anni dopo da una clamorosa vittoria militare
che metteva fine alle incursioni ungare, segnò da parte del successore
di Enrico, Ottone I (936-973) l’avvio di un programma egemonico che
portò al ristabilimento dell’impero in occidente (3,
5). Con Ottone I ed Ottone
II (973-983) il nuovo impero costituitosi intorno alla monarchia sassone
seguì il solco della tradizione carolingia, perpetuata sia nella tendenza
al controllo del papato sia nella attrazione verso il mezzogiorno d’Italia,
in conflitto con l’egemonia bizantina (5,
7). Si affiancava però a queste due
direttrici una diversa attenzione verso l’oriente in quanto, in collegamento
con la chiesa di Roma ed in concorrenza con quella di Costantinopoli,
l’impero sassone si pose come punto di riferimento politico religioso
nei confronti di quella fascia d’Europa, dal Baltico all’Adriatico,
cui il dinamismo ungaro e slavo aveva fornito, nel X secolo, una nuova
fisionomia. Così la politica orientale costituisce uno dei punti dove
meglio si può cogliere il carattere innovativo presente nell’ideologia
imperiale del giovanissimo Ottone III (996-1002) (8),
che in nome dell’universalismo imperiale (9)
rinunciò ai diritti avanzati dalla chiesa tedesca sull’ordinamento
ecclesiastico della Polonia. Sull’esempio polacco, anche l’Ungheria
ebbe una organizzazione ecclesiastica autonoma: sia Polonia che Ungheria,
tramite Ottone, avviarono quindi un rapporto non con il regno teutonico
ma con l’impero, come entità universale romana e cristiana. La
concezione imperiale di Ottone III, nei suoi pochi anni di regno, fu
sostenuta con una fervida determinazione che ebbe l’appoggio di una
ristretta élite intellettuale e religiosa ma che suscitò diffidenze
e sospetti talora anche nella sua stessa cerchia. In particolare la
difficoltà di condurre un programma realmente universalistico
che sacrificava gli interessi tedeschi senza peraltro contentare quelli
romani si manifestò nella percezione emozionale di una dicotomia
tra Roma e Germania (10):
una dicotomia che costituiva peraltro una realtà politica, tanto
evidente da indurre il successore di Ottone, Enrico II (1002-1024),
ad abbandonare la prospettiva universale a favore della stabilità
del regno teutonico (11).
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