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Didattica > Fonti > Le campagne nell’età comunale > I - Introduzione (5/5)

Fonti

Le campagne nell’età comunale
(metà sec. XI – metà sec. XIV)

a cura di Paolo Cammarosano

© 1974-2005 – Paolo Cammarosano


Sezione I – Il potere signorile nelle campagne

Introduzione (5/5)

Ad altri cinquant’anni di distanza, vediamo un interessante esempio di limitazione dei poteri signorili negli Statuti del Comune di Treviso. Tra il XII e il XIII secolo si veniva formando in ciascun Comune una forma di legislazione autonoma: si ponevano per iscritto le consuetudini giuridiche locali, che andavano osservate nei rapporti civili tra privati, e si raccoglievano in una compilazione unica i regolamenti interni dei vari organi di governo comunale, i patti e i giuramenti che dovevano regolare le relazioni del Comune con i feudatari, con determinati signori o con altri Comuni, le deliberazioni più importanti dei consigli cittadini in materia di diritto civile e penale, di finanza e di opere pubbliche, di rapporti con gli ecclesiastici, con le corporazioni, con le comunità e i signori del contado. Queste compilazioni presero nome di “Statuti” e sono tra le fonti più importanti per la storia dei Comuni. Nel Comune di Treviso, dove l’influenza di ceti feudali e signorili era grande, nondimeno l’esercizio di “qualunque tipo di giurisdizione” nel contado fu severamente disciplinato dagli Statuti degli anni 1207-1231 (doc. n. 11). Nessuno avrebbe potuto imporre tributi né sottrarre beni sotto qualunque pretesto se non ai propri rustici e ai propri servi, cioè a quanti gli erano legati personalmente da un vincolo di dipendenza: questo il punto centrale delle disposizioni statutarie qui tradotte, che consentiranno comunque al lettore attento molte precisazioni e osservazioni particolari.

Dal contenimento degli arbìtri e della prepotenza signorili (doc. n. 1), al tentativo di restringere l’ambito entro cui si esercitava la signoria (doc. n. 4), alla ribellione violenta contro alcune sue prerogative essenziali (doc. n. 7), alla delimitazione di queste da parte delle autorità cittadine (doc. n. 11), le fonti qui raccolte delineano una tendenza storica di fondo, il cui punto di arrivo sarebbe stato la scomparsa del carattere “territoriale” della signoria. Dalla fine del secolo XII l’impulso decisivo in questa direzione era dato ormai dai Comuni cittadini, che rivendicavano a se stessi la sovranità su tutti i castelli e i territori del contado. Su questo terreno poteva verificarsi, in certi casi, una convergenza oggettiva tra l’azione delle classi dirigenti cittadine e il movimento dei proprietari e dei detentori di terre residenti nel contado.

Contro questa tendenza di fondo si andò sviluppando una reazione da parte dei signori, secondo una duplice direttiva. Da un lato si accelerarono la stipulazione di patti e convenzioni con i piccoli e i medi possessori locali e l’organizzazione dei Comuni di castello e di villaggio, fondati sul condominio dei poteri tra i domini e i residenti del luogo. Se la convenzione tra la badessa di S. Sisto e gli uomini di Guastalla, dell’inizio del secolo XII (doc. n. 2), costituisce un esempio piuttosto raro per la sua epoca, al contrario il piccolo Statuto della “rocca” di Tintinnano, elaborato nel 1207 per definire i rapporti tra la consorteria signorile e il Comune degli uomini di Tintinnano (doc. n. 10), non è che un esempio – peraltro di straordinario interesse – di un tipo di transazioni allora assai frequente.

Dall’altro lato i signori, man mano che perdevano terreno quanto al dominio territoriale e alla sovranità sui liberi proprietari, tentavano di recuperare una parte di potere con l’istituzione di vincoli di natura personale. In particolare, concedendo nuove terre e diritti d’uso, oppure rinnovando antiche concessioni fondiarie, essi cercarono di legare a sé i concessionari con il vincolo feudale: quest’obbligo di obbedienza e di aiuto materiale, che nei secoli IX-XI era stretto tra uomini liberi e aveva come contenuto essenziale la prestazione del servizio militare da parte del vassallo, venne ora esteso sempre più spesso a piccoli proprietari, a contadini e in genere a tutti i detentori di terre del signore. In moltissime fonti posteriori alla metà del secolo XII i dipendenti del signore appaiono infatti tenuti al giuramento di fedeltà. Questo rapporto personale di fidelitas è attestato nei documenti dei canonici novaresi e astigiani (nn. 6 e 7) ; i coniugi del territorio fiorentino che cedettero al monastero di Passignano due contadini (doc. n. 5) li dichiararono sciolti “da ogni giuramento”, espressione che si riferisce sicuramente al giuramento di fedeltà. Altri esempi saranno offerti in documenti delle Sezioni II (nn. 2, 5, 9, 10) e III (n. 10).

È interessante notare come continui a manifestarsi, accanto al vincolo personale, il principio del dominio territoriale dei signori: quando i canonici di Asti sostengono che la curtis di Quarto “appartiene” a loro, intendono dire che esercitano sovranità signorile su tutto il territorio della curtis; i signori toscani parlano di diritti esercitati “in base […] alla curia di Roffiano”; gli inquirenti nella causa per il dominio dei canonici di Novara sopra gli uomini di Cànnero si preoccupano di chiarire “se Cànnero fosse curtis di per sé”, cioè se fosse subordinata o meno a un altro organismo territoriale. Nelle tre fonti, che per questo aspetto sono assolutamente tipiche della loro epoca, si giustappongono in maniera confusa l’elemento territoriale e l’elemento personale, l’autorità pubblica e i diritti patrimoniali dei signori.

L’organizzazione dei Comuni di villaggio e di castello, da un lato, e dall’altro l’estensione dei rapporti feudali nelle campagne, garantirono ai signori il mantenimento di molte loro prerogative sino alla fine del Medioevo ed oltre, ma in un ambito più limitato rispetto alle forme originarie del dominio signorile. Nelle comunità locali, infatti, essi dovevano condividere il potere con i loro ex sudditi (cfr. docc. nn. 2 e 10), mentre la signoria feudale era condizionata dalla possibilità di fare larghe concessioni fondiarie, che in prospettiva avrebbero indebolito la forza economica dei signori, e comunque non aveva più nulla a che vedere con l’antica sovranità territoriale. Per questi motivi la “reazione signorile” di cui si è parlato non venne contrastata decisamente dalle classi dirigenti delle città. Ai Comuni di villaggio e di castello fu concessa una larga autonomia entro l’ambito politico, amministrativo e finanziario degli Stati territoriali cittadini: anzi le autorità cittadine si fecero spesso garanti del rispetto degli Statuti rurali, dei patti e delle convenzioni stipulati tra signori e comunità locali e dell’osservanza, da parte dei residenti del contado, di obblighi e doveri nei confronti dei signori. Una volta che le città si erano assicurate il dominio politico sui castelli del contado, imponendo atti di sottomissione e di garanzia e istituendo propri organi di controllo, esse potevano demandare a signori e Comuni locali l’organizzazione della difesa e della finanza locale, i compiti di polizia campestre e la giurisdizione nelle cause minori.

Anche i nuovi legami feudali furono in larga misura tollerati e rispettati dalle autorità cittadine. Qui tuttavia le cose potevano presentarsi in termini differenti. Infatti, quando i rapporti di forza lo consentivano, i signori tendevano a ricostituire su questa base di legami personali le antiche forme di potere; inoltre, man mano che perdevano il proprio dominio sull’insieme del territorio, erano portati a inasprirlo nei confronti di quanti risiedevano e lavoravano sulle terre di loro proprietà. L’istituzione dei vincoli di fedeltà non rappresentava, spesso, che un aspetto di questo più generale inasprimento del dominio dei grandi proprietari nobili ed ecclesiastici: non si trattava allora di un fenomeno nuovo, che le autorità cittadine potessero disciplinare e controllare, bensì di un tentativo di ritorno all’indietro, che esse – come vedremo nella Sezione seguente – dovettero sforzarsi di contrastare.

Nota bibliografica sul potere signorile nelle campagne

Per un inquadramento generale della storia della signoria nell’Europa medievale si può leggere R. BOUTRUCHE, Signoria e feudalesimo, I: Ordinamento curtense e clientele vassallatiche; II: Signoria rurale e feudo, tra. it. Bologna, Il Mulino, 1971 e 1974 (ediz. Originale francese del vol. I: 1959, 2ª ediz. riveduta 1968; del vol. II: 1970), corredato di ampia bibliografia. Più sintetico è il libro di G. FOURQUlN, Seigneurie et féodalité au Moyen Age, Paris, Presses Universitaires de France, 1970. In ambedue gli studi la parte dedicata all’Italia è esigua. Sulla storia del regime signorile del nostro Paese non esiste alcun lavoro di carattere generale, ma si può vedere adesso il rapido e magistrale profilo di G. TABACCO, La storia politica e sociale. Dal tramonto dell’Impero alle prime formazioni di Stati regionali; in AA.VV., Storia d’Italia, II, cit., 1, pp. 3-274, in particolare pp. 113-127, 150-180 (con ampie referenze bibliografiche). Per il resto, lo studioso deve raccogliere una serie di indicazioni sparse in monografie dedicate ai singoli signori e in saggi su questioni determinate. Così il problema della territorialità è stato trattato da P. VACCARI, La territorialità come base dell’ordinamento giuridico del contado nell’Italia medioevale, 2ª ed., Milano, Giuffrè, 1963 (la prima edizione risale al 1921), e per le istituzioni sociali connesse ai castelli si deve ricorrere principalmente all’articolo di F. CUSIN, Per la storia del castello medioevale, in “Rivista storica italiana”, Ser. V, IV (1939), pp. 491-542. Tra gli studi su singoli enti, titolari di diritti signorili, è di particolare importanza R. ROMEO, La signoria dell’abate di Sant’Ambrogio di Milano sul comune rurale di Origgio nel secolo XIII, in “Rivista storica italiana”, LXIX (1957), pp. 340-377, 473-507, poi ristampato con il titolo Il comune rurale di Origgio nel secolo XIII, Assisi, Carucci, 1970.

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UpUltimo aggiornamento: 17/01/05