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Didattica > Fonti > Le campagne nell’età comunale > I - Introduzione (2/5)

Fonti

Le campagne nell’età comunale
(metà sec. XI – metà sec. XIV)

a cura di Paolo Cammarosano

© 1974-2005 – Paolo Cammarosano


Sezione I – Il potere signorile nelle campagne

Introduzione (2/5)

Per salvare la propria incolumità personale e almeno una parte del bestiame e degli attrezzi, i rustici dovevano rifugiarsi nei castelli: di qui l’importanza di questi nuclei fortificati, che coprivano tutte le campagne dell’Italia centro-settentrionale con una trama fitta, della quale è riconoscibile oggi soltanto una parte.

L’edificazione di mura e torri era un lavoro estremamente oneroso e costoso, soprattutto per la difficoltà di trasporto dei materiali; i dipendenti dell’abbazia di Nonantola che ottennero nel 1058 una serie di importanti concessioni si impegnarono come contropartita a “circondare di muro e fossato i tre quarti del castello” entro sei anni (doc. n. 1). Una volta edificato il castello, i sudditi del signore avevano l’obbligo di contribuire alla sua manutenzione, di effettuare turni di guardia sulle mura (cfr. doc. n. 11, c. 378, e nella Sez. II il doc. n. 2), di partecipare alla difesa del castello e prestare servizio militare nell’esercito signorile (docc. nn. 1, 4, 11 c. 378).

A questi obblighi i sudditi non adempivano tutti nella stessa misura e nelle stesse forme: proprio a proposito dei servizi militari le fonti accennano alla diversa posizione sociale ed economica dei dipendenti della signoria. Tra i rustici di Calusco, dipendenti dalla chiesa di Bergamo, soltanto alcuni appartenevano alla “castellanza” ed erano pertanto obbligati a militare di persona nell’esercito (doc. n. 4). Nel documento nonantolano del 1058 (n. 1), dove si fa una distinzione tra dipendenti “maggiori”, “medi” e “minori” si prescrive anche che “ciascuna persona” contribuisca ai lavori del castello “nella misura che le compete”. Non vengono definiti qui i connotati e i caratteri distintivi delle tre categorie di dipendenti. Ma sappiamo da altre fonti che i “minori” erano i contadini privi di terra propria o i piccolissimi proprietari, mentre la caratteristica, principale dei “maggiori” era quella di possedere cavalli da guerra e quindi la base economica necessaria per il loro costoso mantenimento. I membri di questa piccola “aristocrazia” locale costituivano l’elemento essenziale dell’esercito signorile, al quale partecipavano di persona con i loro cavalli: in compenso erano dotati di particolari privilegi (doc. n. 2) oppure esonerati, almeno in tempo di guerra, da ogni prestazione non militare (doc. n. 10, c. 12).

La forza armata dei signori si fondava dunque, da un lato, su un ceto di medi proprietari fondiari, che generalmente detenevano anche case e superfici nel castello, dall’altro su una speciale categoria di “servi” detti “di masnada” (servi de masnada, masnaderii: cfr. i docc. nn. 2 e 7 della Sez. II). La gran parte dei sudditi, cioè la gran parte della popolazione contadina, sosteneva l’onere della difesa e della guerra versando al signore tributi in denaro e in natura.

Nelle fonti sono ricordati spesso questi tributi straordinari (cioè non annuali) dovuti al signore e designati con una varietà di termini: adiutoria, accatti o accattarie, collette o colte, dazi (cfr. qui i docc. nn. 4, 5, 6, 10 c. 20, 11 c. 376, e nella Sez. II i nn. 1, 6, 9). Si deve pensare che coprissero in genere le spese straordinarie di armamento e di guerra, anche se nelle fonti non è indicata quasi mai la loro destinazione specifica. Vi erano altre spese straordinarie alle quali il signore faceva fronte ricorrendo a queste imposizioni dirette. In questo campo furono recepite dal sistema signorile istituzioni che erano tipiche di un altro genere di rapporti di dipendenza, cioè dei rapporti feudali. Nel rapporto feudale un uomo libero – detto “vassallo” – era legato da un vincolo, detto di fedeltà (fidelitas), a un altro uomo libero: il senior, che possiamo tradurre con “signore feudale”. Tra gli obblighi essenziali del vassallo erano quelli di prestare servizio armato al seguito del senior e di fornirgli un aiuto economico in alcune circostanze, determinate dalla consuetudine, che comportavano spese straordinarie: ad esempio quando il senior doveva armare cavaliere il proprio figlio, quando dava in sposa la figlia, quando partiva in pellegrinaggio, quando comprava terre, quando era preso prigioniero e si doveva versare un riscatto per liberarlo. Ora, anche i dipendenti della signoria si trovavano obbligati a pagare sovvenzioni di questo tipo. I rustici di Calusco dovevano ai loro antichi signori un adiutorium “in occasione di nozze, di sponsali e di compere” (doc. n. 4). Nel 1207 i conti di Tintinnano si fecero promettere dagli uomini del castello un aiuto materiale in occasione delle cerimonie che accompagnavano l’armamento di un cavaliere o gli sponsali delle loro figlie e sorelle (doc. n. 10, c. 8).

Tipiche del sistema signorile erano poi una serie di esazioni che solo in origine avevano avuto carattere di straordinarietà e destinazioni determinate. Il “fodro” era un tributo in denaro, dovuto dagli abitanti delle campagne all’imperatore quando questi attraversava il loro territorio e destinato ad assicurare il vettovagliamento dell’esercito e del seguito imperiali. Di fatto veniva riscosso dai signori (cfr. docc. nn. 3, 4, 8 e Sez. II, nn. 3 e 4) e tendeva a divenire un normale tributo, richiesto con una periodicità fissa (ogni uno, due, tre anni) o addirittura secondo l’arbitrio (doc. n. 4).

Un fenomeno analogo si verificò per un altro onere caratteristico imposto ai dipendenti del signore. Quando egli passava per le terre della signoria aveva diritto a ricevere vitto e alloggio per sé e per il suo seguito e il vettovagliamento per i cavalli. Ma anche questa imposizione in natura, detta “albergaria” (cfr. docc. nn. 2, 3, 5, 7, e Sez. II nn. 1, 6, 9, Sez. III n. 6), finiva per essere riscossa annualmente, o comunque con una certa periodicità, e indipendentemente dalla circostanza specifica del passaggio del signore. Assumeva dunque il carattere di un tributo fisso, che normalmente consisteva in una quantità di generi alimentari determinata dalle consuetudini o per contratto ed era proporzionale all’entità dei beni di ciascun dipendente (si veda il doc. n. 2).

Accanto a questi tributi, i signori esigevano una serie quanto mai varia e complessa di censi, di donativi e di prestazioni d’opera: quantità determinate di denaro, di cereali, di fieno, di lino, di frutta, di legname, di agnelli, di polli ed uova, di formaggio, di materiali da costruzione; refezioni e cibarie per sé e per i propri dipendenti (amiscera, “camangiari”, conmestiones: cfr. ad es. docc. nn. 2, 5 e Sez. II, n. 8), talora inglobate nell’onere dell’albergaria (doc. n. 2), talora commutate in una somma di denaro (Sez. IV, doc. n. 2) ; servizi di trasporto dei prodotti agricoli dai luoghi di produzione ai magazzini dominicali; giornate di lavoro sui campi di proprietà del signore, in particolare al tempo delle semine e dei raccolti (le prestazioni d’opera erano indicate spesso con i termini generici di “angarie” e “parangarìe”: cfr. Sez. II, docc. nn. 4 e 10).

Nei documenti tradotti in questa e nelle altre Sezioni il lettore troverà numerosi esempi di prestazioni del genere. Ciò che importa sottolineare è che esse rivestivano carattere di “angherie”, nel senso moderno del termine, cioè di prestazioni che non avevano alcuna contropartita in determinate concessioni fondiarie del signore. Tutti i proprietari riscuotevano censi e a volte esigevano anche servizi dai contadini che lavoravano le loro terre, ma tali censi e servizi venivano corrisposti in cambio della concessione di terra al coltivatore. Il signore, al contrario, aveva diritto a percepire beni e servizi non solo dai suoi contadini, cioè da quanti coltivavano terre di sua proprietà, ma da tutti coloro che si trovavano nel suo territorio: quindi anche da proprietari che coltivavano direttamente le loro terre, da proprietari agiati che le cedevano in conduzione ad altri, da contadini che lavoravano terre appartenenti a persone diverse dal signore.

Questo è un punto assolutamente centrale, che deve essere bene afferrato per comprendere la storia del sistema signorile. Il dominus di un determinato territorio era, certo, un grande proprietario fondiario, di norma il maggiore tra i proprietari di quel territorio; su tale base economica si fondava il suo potere effettivo. Ma egli vantava diritti signorili in tutto l’ambito del territorio. Anzitutto su beni che sfuggivano al regime della proprietà privata individuale, perché appartenenti al sovrano o destinati, per tradizione, all’uso comune: strade pubbliche, corsi d’acqua, foreste, pascoli. Ciò si traduceva in una fonte costante di reddito: il signore riscuoteva pedaggi (doc. n. 2), percepiva tributi di caccia e di pesca (doc. n. 6), poteva esigere capi di bestiame come corrispettivo per l’uso dei pascoli (doc, n. 11, c. 385), imponeva limitazioni, a proprio vantaggio, allo sfruttamento dei prati (doc. n. 7). Dalla sovranità sui corsi d’acqua derivava l’importante monopolio sui mulini; la costruzione di un mulino era cioè subordinata a uno speciale permesso del signore, che ritraeva poi un utile da tutti i mulini del suo territorio – sotto forma di una percentuale dei grani macinati oppure (come nel doc. n. 10, c. 2) di una disponibilità gratuita del mulino in periodi determinati.

Il dominio del signore si esercitava poi su beni fondiari che erano proprietà individuale di altre persone. Così, nell’ultimo quarto del secolo XII, un signore toscano dichiarava esplicitamente che i propri diritti su due famiglie contadine si estendevano anche alle terre che queste tenevano “in nome proprio ossia in allodio” (doc. n. 5) e i canonici di Asti rivendicavano la propria autorità signorile sui “beni allodiali” di alcune famiglie (doc. n. 7) : “allodio” è il termine germanico con cui veniva appunto designata la piena proprietà, in contrapposizione ai beni che una persona deteneva in nome di altri e cioè a titolo di locazione, di enfiteusi, di beneficio feudale eccetera.

La sovranità del signore su tutti i beni fondiari compresi nel suo territorio si concretava in una serie di limitazioni alla disponibilità di tali beni da parte dei proprietari. A maggior ragione non potevano disporre liberamente dei beni fondiari le famiglie che li detenevano per conto del signore. Bisogna del resto tener presente che se in teoria si manteneva una netta contrapposizione tra i liberi proprietari (“alloderi”) e i detentori di terra altrui (cfr. ad es. Sez. II, doc. n. 1), nella realtà concreta non era sempre facile distinguere chiaramente i beni di proprietà dei sudditi da quelli che essi detenevano per concessione del loro signore.

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UpUltimo aggiornamento: 17/01/05