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Didattica > Fonti > Predicazione e vita religiosa > III, Introduzione | |||||||||
FontiPredicazione e vita religiosa nella società italiana (da Carlo Magno alla Controriforma)a cura di Roberto Rusconi © 1981-2006 – Roberto Rusconi Sezione III - Gli ordini mendicanti e la pastorale ecclesiastica nel basso medioevoIntroduzioneCon il pontificato di Innocenzo III muta radicalmente la strategia complessiva della suprema gerarchia ecclesiastica nei confronti delle richieste di rinnovamento religioso provenienti dal mondo laico, e in parte anche da quello ecclesiastico. Il nuovo papa, eletto nel 1198, non rinuncia certo all'uso dello strumento della repressione inquisitoriale nei confronti degli eretici. Si rende però conto che questo modo di procedere, alla fine, può rivelarsi un vicolo cieco. Tenta allora di riassorbire le spinte del movimento religioso laicale all'interno delle istituzioni ecclesiastiche. I primi provvedimenti presi in questa direzione si rivelano di poco respiro: la riconciliazione di piccoli gruppi, come i Poveri cattolici e i Poveri lombardi, e delle comunità degli Umiliati si fonda su una soluzione di compromesso, che non risponde affatto alle aspirazioni religiose poste alla base del movimento religioso laicale: in particolare, alla richiesta che la predicazione evangelica in forma itinerante ad imitazione degli apostoli venisse concessa anche ai laici. D'altro canto, come era stato dimostrato proprio dalla rapida espansione dell'eresia in contrasto con la gerarchia e la dottrina cattoliche, e dall'impossibilità di reprimere totalmente questi fenomeni con il solo uso della forza, alle richieste di nuove forme di vita religiosa era necessario dare una risposta: riassorbendo nel tradizionale tessuto delle istituzioni ecclesiastiche le spinte ad una trasformazione; soprattutto, però, riproponendo come forme di pietà approvate e come dottrine teologiche riconosciute - dopo una accurata e non imparziale revisione - le istanze di nuove forme di devozione e di nuove credenze che erano andate diffondendosi nei ceti urbani emergenti, al di fuori degli ambienti chiericali. Il maggiore ostacolo a questa poderosa virata, che consentisse una nuova riaffermazione dell'egemonia culturale e religiosa delle istituzioni ecclesiastiche, in una società in cui i quadri rigidi degli ordinamenti feudali cedevano di fronte ad una rinnovata mobilità sociale, era dato dall'essersi a loro volta profondamente feudalizzate nel secolo precedente le stesse istituzioni ecclesiastiche territoriali (diocesi, pievi, parrocchie) e monastiche. In un mondo - soprattutto nell'Italia centrale - in cui sono i ceti urbani, mercantili e borghesi (i burgenses sono coloro che abitano in città, in opposizione ai rustici, che stanno in campagna), ad incarnare la spinta ad un nuovo assetto politico-economico, ma nello stesso tempo socio-culturale, la chiesa non può riproporre la sua egemonia e la sua funzione di mediazione servendosi di un personale ecclesiastico ereditato dai secoli precedenti: in pratica, l'alto clero e i monaci sono reclutati nella nobiltà feudale o tra i Cavalieri, mentre il basso clero - nelle parrocchie e nelle pievi - costituisce una sorta di bracciantato ecclesiastico, in cui spesso condizione servile e condizione chiericale coincidono. Malgrado le istanze, le proteste, le querimonie dei concili del secolo XII, né il personale né le strutture della chiesa sono in grado di far fronte ad una esigenza di egemonia religiosa che non si esprima più attraverso il semplice inquadramento religioso delle popolazioni rurali, e che, invece, si adegui a quella sorta di personalizzazione della società in atto a partire dalla seconda metà del secolo XII. A questo vuoto di reclutamento e di prospettive rimediano i nuovi ordini mendicanti. La loro stessa denominazione è l'indice di una novità: sono, almeno all'origine e in linea di principio, ordini religiosi che incarnano nella loro struttura il principio della povertà volontaria ad imitazione degli apostoli. Per questo, a differenza dei monaci che vivono delle loro rendite terriere, essi mendicano la loro sussistenza dalle elemosine. È questa una svolta istituzionale resa possibile dal graduale prevalere dell'economia monetaria sull'economia di scambio, nel più generale prevalere dei centri urbani sulla campagna. Questi nuovi ordini sorgono in un rapporto complesso con il movimento religioso e le sette ereticali del periodo precedente. L'ordine dei frati predicatori - detto anche domenicano dal nome del suo fondatore - sorge nella Francia meridionale, con una specifica funzione anti-ereticale (doc. 1) La stessa scelta della povertà volontaria è dettata dalla necessità di rendere credibile la propria predicazione di fronte agli ambienti laici che portano avanti il modello della imitazione degli apostoli. L'ordine domenicano quindi appare una forma di rinnovamento delle istituzioni tradizionali, e in particolare dei canonici regolari, di cui assume la regola (doc. 2). Proprio perché si propongono sin dall'inizio di svolgere una azione di mediazione religiosa, i domenicani predispongono gli strumenti perché ai futuri predicatori sia assicurata la necessaria formazione (doc. 3). Nel corso del basso medioevo l'ordine dei frati predicatori non perde il suo carattere originario di ristretta élite intellettuale. Esso costituisce però il modello per la compiuta trasformazione dell'ordine dei frati minori. Già prima della morte di Francesco (1226) la trasformazione della primitiva comunità di penitenti laici in un ordine religioso chiericale è in atto: ancora nel 1223, quando la curia romana approva la regola dell'ordine, esso conserva un reclutamento composito, di chierici e di laici, come appare dalla prudente formulazione del capitolo relativo alla predicazione, che sembra riservare ai frati minori solo la predicazione morale (doc. 4). Nel corso dei decenni successivi anche i predicatori francescani si specializzano e varano un curriculum di studi ispirato al modello domenicano (doc. 5). All'inizio francescani e domenicani, che operano il loro reclutamento in primo luogo nei nuovi ceti urbani, pensano di svolgere una semplice azione di supplenza nel ministero pastorale, soprattutto nell'amministrazione del sacramento della penitenza (confessione) e nella predicazione in volgare. Il clero parrocchiale, del tutto impreparato per mancanza di formazione adeguata, è incapace di far fronte alle nuove esigenze religiose di un mondo laicale in fermento, ma non è disposto a cedere ai nuovi ordini lo spazio delle istituzioni che gestisce. Intorno agli anni '40 del '200 i religiosi mendicanti rinunciano alla loro opzione primitiva di esercitare il loro mestiere di predicatori presso le chiese già esistenti. Facendo leva sulla fitta rete delle loro chiese e dei loro conventi, essi danno vita ad una sorta di organizzazione parallela, le cui maglie si sovrappongono e si incrociano con le diocesi, le pievi, le parrocchie. Le chiese conventuali - dapprima piccoli oratori, in ottemperanza all'originario orientamento pauperistico di questi gruppi - vengono ampliate progressivamente sino a trasformarle nei grandi auditori che possono ospitare le folle degli ascoltatori delle prediche. E quando neppure le chiese bastano più, allora si ampliano le piazze antistanti le chiese mendicanti, come a Firenze nel 1244 (doc. 13). E nelle piazze predicano sant'Antonio da Padova già nel 1231 (doc. 10), oppure i predicatori che a più riprese si mettono alla testa di movimenti popolari: la devozione dell'Alleluia del 1233 (doc. 12), il pellegrinaggio romano del 1335 (doc. 21), il moto dei Bianchi del 1399 (doc. 28), il movimento penitenziale di Manfredi da Vercelli nel 1418 (doc. 30). Non sempre, però, sono i religiosi predicatori a suscitare questi movimenti (doc. 11): essi però ne assi curano comunque il controllo, anche se non senza frizioni con la gerarchia ecclesiastica. Gli ordini mendicanti riescono ad esercitare per tutto il basso medioevo un sostanziale monopolio nell'ambito della predicazione. Grazie a loro la predicazione in volgare, nei centri urbani, grandi e piccoli, cessa di essere un fatto sporadico o una stereotipa ripetizione dei sermonari di età patristica. I frati predicano tutte le domeniche, più volte al giorno, perché in molti centri esiste più di un unico convento degli ordini mendicanti. Diffondono, poi, anche la pratica della predicazione quotidiana nei periodi centrali dell'anno liturgico, per sei settimane in Quaresima, prima della Pasqua, e per quattro settimane in Avvento, prima del Natale. La predicazione quaresimale riesce spesso a mobilitare una intera cittadinanza (doc. 35), ed appare particolarmente importante perché diretta, nella sostanza, ad ottenere l'adempimento del precetto ecclesiastico della comunione pasquale e della confessione annuale, stabilito nel 1215 dal quarto concilio del Laterano (doc. 32): un provvedimento destinato a lasciare una profonda impronta nella vita religiosa. Nel corso della predicazione quaresimale, infatti, si propongono le verità di fede da credere e le forme di pietà e di devozione da praticare, e, alla fine, prima che i fedeli si accostino all'eucaristia, mediante la confessione individuale dei peccati si verifica in che misura il singolo fedele abbia accettato il modello di comportamento religioso propostogli tramite le prediche. Non è solo questa capillarità ad assicurare il successo della predicazione
in volgare alle masse da parte dei frati degli ordini mendicanti: questa
grande presa sulla società medievale dipende soprattutto da due fattori,
la omogeneità interna della predicazione e la sua assimilazione alla mentalità
dei ceti dominanti della società. Al di là di talune divergenze, di contrasti, di tensioni ampiamente do
cumentati, e che spesso trovano il loro fondamento più in una sorta di
orgoglio di «bandiera» che non nella realtà delle cose, la predicazione
dei diversi ordini mendicanti manifesta una sostanziale unità: «la sistematica
finalizzazione della pratica religiosa e dell'osservanza dei precetti
al conseguimento della propria salvezza individuale» (Miccoli). Il riferimento
alla salvezza eterna dell'anima del singolo, posto alla base della pratica
religiosa dei laici, è a tal punto condiviso, che anche i predicatori
eretici della fine del '300 fanno riferimento a questa scala di valori
(doc. 24). Meno esplicito a livello istituzionale, ma molto rilevante a livello di implicazioni globali, è il peso del secondo fattore che giustifica la grande presa sulla società italiana del '200-'400 della predicazione in volgare degli ordini mendicanti: la sua assimilazione alla mentalità dei ceti dominanti della società. Agli inizi del '200, anche presso i rappresentanti dei nuovi ordini religiosi
mendicanti e i teorici del sermo modernus, come ad esempio Umberto
di Romans, la predicazione rimane ancorata alla prospettiva del volgarizzamento
(lei messaggio religioso contenuto nella Scrittura agli strati non letterati
della popolazione. Eppure lo stesso Umberto di Romans si inserisce nel
filone dei sermones ad status - cioè delle raccolte di sermoni
diretti a determinati gruppi sociali (doc. 15). Evidente è l'esigenza
di adattarsi al polimorfismo di gruppi ormai esistente in una società
che ha abbandonato l'assoluta immobilità dei secoli precedenti. Questo
adattamento, però, si colloca soprattutto al livello della mentalità espressa
dalla classe dominante mercantile-borghese. Agli inizi del '300 le prediche
di Giordano da Pisa mostrano, da parte del predicatore, lo sforzo di divulgare
dal pulpito la dottrina morale elaborata dai teologi. Se ciò implica la
riaffermazione del ruolo meramente passivo, di ascoltatori, dei laici
nell'ambito della predicazione (doc. 19; cfr. anche doc. 22), nella scelta
degli argomenti da parte di Giordano un ruolo condizionante è esercitato
dagli interessi del pubblico urbano cui egli si rivolge: a mercanti e
borghesi, infatti, non importano le tematiche religiose in senso astratto,
bensì una legittimazione morale della «mercanzia» (doc. 18). Solo in
questo modo un predicatore si garantisce un pubblico (doc. 26). Ma se
le reazioni del pubblico, a noi note, in genere sono legate alla sfera
dell'emotività (doc. 20), talora accade di poter registrare - sia pure
attraverso la lente un po' deformante della letteratura novellistica -
che una parte di esso, le classi subalterne, non gradiscono - in realtà,
vi restano del tutto estranee - l'allineamento dei temi della predicazione
ai problemi di legittimazione morale dell'attività professionale del ceto
mercantile (doc. 27). Il grande successo di massa della predicazione itinerante, soprattutto dei francescani osservanti - come Bernardino -, nella società italiana del secolo XV è incontestabile: essi mobilitano con le loro prediche intere città (doc. 35), ampliano la loro sfera di espressione, acquisendo anche moduli teatrali (doc. 37). Nelle pieghe del loro successo non esitano ad inserirsi piccoli truffatori, frati o furfanti che siano (doc. 33). Soprattutto, però, la predicazione itinerante nel '400 ha un risvolto politico immediato, che man cava nei due secoli precedenti (doc. 36). Malgrado alcuni soprassalti apocalittici - l'attesa della fine del mondo come sbocco della destrutturazione sociale - agli inizi del '400 (doc. 30), la predicazione itinerante in questo secolo opera di fatto una saldatura tra tessuto ecclesiastico e trasformazione della società, con una presa immediata del discorso religioso sulla realtà economica e sociale del tempo. Il ricono scimento dell'autorità ecclesiastica - solo nel 1417 si pone fine allo scisma che nei quarant'anni precedenti aveva diviso la chiesa in due e in tre parti - come l'unica dispensatrice autorizzata della salvezza eterna è ribadito continuamente nelle prediche quattrocentesche: sulla base di questo presupposto la conversione etica personale diviene nello stesso tempo restaurazione sociale. Fino a che la crisi politica della fine del secolo XV non incrina la solidità di questo messaggio religioso ad una sola dimensione. |
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